di Marika Ikonomu
foto Irene Starita
Dal 2018, le quattro facciate dei palazzi hanno il colore del riscatto: Diego Armando Maradona, Niccolò, Ernesto Che Guevara, uomo e soldato, vigilano sugli abitanti delle case popolari dell’ex Taverna del Ferro. Volti enormi firmati Jorit Agoch, l’artista napoletano che dipinge con le bombolette spray conosciuto in tutto il mondo. Segni distintivi dei suoi murales, le cicatrici rosse sulle guance. «Io sono innamorata di queste opere. I turisti vengono a vederle. Ogni tanto li incontro dove c’è Maradona e dico: “Venite dall’altra parte che c’è Che Guevara!”», racconta Rosaria ridendo. Parla con passione del posto in cui vive, ma non nasconde la fatica quotidiana per rendere dignitose le case popolari di San Giovanni, dimenticate dalle istituzioni, in cui vivono 360 famiglie. I suoi due Che Guevara però hanno cambiato l’aspetto e l’impatto di questo luogo e per Rosaria è un orgoglio che si è persino tatuata sul braccio destro: Ernesto uomo.

Niccolò e Diego Armando Maradona (dios es umano), San Giovanni a Teduccio (Napoli)
I due complessi, costruiti dopo il terremoto del 1980, dovevano essere case popolari temporanee, ma molte persone ci vivono da quarant’anni. L’idea era di riprodurre le vie, molto strette, del capoluogo campano. La via che divide i due palazzi di otto piani è infatti stretta e buia. Salvatore spiega che «fino a dieci anni fa circa, c’erano ponti comunicanti tra i due palazzi e tutte le case erano collegate tra loro. Era diventata una piazza di spaccio, e quei collegamenti permettevano la fuga». «Le case sono in stato di abbandono, piove in casa della gente», denuncia il comitato. Ma i dipinti hanno cambiato il volto dei palazzi e favorito i finanziamenti da parte delle istituzioni. Sono già in corso alcuni interventi di recupero e sono stati stanziati fondi per il rifacimento dei tetti e per un progetto di abbattimento e ricostruzione, inserito tra le opere del Pnrr.
Le ragazze e i ragazzi del quartiere, dice Rosaria, «si sono innamorati di Jorit», che nei 40 giorni in cui ha dipinto i due Che Guevara ha vissuto a pieno quella realtà, spiegando loro la storia che si nasconde dietro l’opera. «Portare tematiche profonde nella realtà chiusa di un quartiere o di un rione» è l’obiettivo dell’arte impegnata di Jorit, racconta l’artista.

Che Guevara uomo e soldato, San Giovanni a Teduccio (Napoli)
Nonostante gli appelli del comitato, il comune non ha contribuito in nessun modo alle opere di Jorit. È partita così una raccolta fondi dal basso: «Ci mettemmo con un banchetto e parteciparono tutti, anche gli abitanti di questi palazzi. Davano uno o due euro, quello che potevano», racconta Rosaria. Il comitato ha trovato poi degli sponsor che hanno messo a disposizione una piattaforma, molto costosa e indispensabile per le opere di Jorit, data la loro dimensione.
Ha poi frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli e studiato alla scuola internazionale d’arte Tinga Tinga di Dar Es Salaam, in Tanzania, dove ha affinato la sua tecnica. Il primo grande volto dipinto nel capoluogo campano è quello di Ael, che in lingua romanì significa «colei che guarda il cielo». Una ragazza rom, dallo sguardo forte, munita di libri, di una matita e inizialmente di uno strummolo, una trottola, oggi cancellata, così come sono stati cancellati alcuni libri. «Ael. Tutt’ egual song’ e creature», è il titolo dell’opera di Ponticelli, realizzata nell’ambito della campagna nazionale «Accendi la mente, spegni i pregiudizi». Proprio a Ponticelli nel 2008 un rogo doloso distrusse il campo rom in cui vivevano circa 1.500 persone.



Ael. Tutt’ egual song’ e creature, Ponticelli (Napoli)
Testimonianze
Perchè i volti
Gli inizi
Cultura in rioni e quartieri
I segni sul volto
Street art nelle periferie
Video interviste di Marika Ikonomu, musiche di Lamberto Macchi
di Irene Starita, Musiche di Sinnermann

Davide Bifolco, Traiano (Napoli)

Ilaria Cucchi, Arenella (Napoli)


Valerio Verbano, Tufello (Roma)
Enrico, in assenza di contributi pubblici, ha fatto una colletta per sistemare il murale di Diego Armando Maradona, il più grande al mondo raffigurante il calciatore argentino. È Enrico che si prende cura della piazzetta, che ha preso il nome del calciatore, perché «Maradona è come noi», dice, riferendosi al riscatto di un uomo e di un quartiere.